Ma io non riesco a stare a dieta!
Alcune problematiche che molti pazienti lamentano nella conduzione di una dieta sono riconducibili molto spesso alla abitudine involontaria di legare la gestione delle proprie emozioni al cibo; esse tendono a cronicizzare ed a portare al fallimento i successivi tentativi di perdere peso.
Impariamo a gratificarci con il cibo da piccoli, purtroppo, quando le mamme ci consolano dalle scottature patite nel gioco e nella vita con dolci o caramelle. Questa sorta di cortocircuiti psicologici sono difficili da sradicare. Un percorso a lungo termine deve anche prevedere la volontaria e consapevole sostituzione del cibo con altri mezzi di gratificazione, ma è anche possibile opporre qualche strategia per cercare di rimuovere questo problema già nel breve termine.
I pazienti ricorrono al cibo in risposta a stimoli emotivi generalmente negativi (rabbia, frustrazione, ansia, noia, senso di colpa, invidia, gelosia) ed è semplice comprendere che se non si affronta questo problema dalla radice qualsiasi tentativo di perdita di peso è destinata a fallire. Il paziente, anche per colpa di una classe medica e spesso anche specialistica (quando adirittura neanche medica o pseudo specialistica o improvvisata) sviluppa lentamente l’idea che solo con la propria forza di volontà potrà rimuovere questi ostacoli: è abbandonato con il suo schema alimentare. Senza nessun supporto, ai primi fallimenti, di cui facilmente si vergognerà di parlare al terapeuta che lo segue convinto di non potere avere nessun aiuto, abbandonerà il suo tentativo, ancora più rinforzando il suo senso di colpa, di inadeguatezza, di fallimento.
Si entra in un circolo vizioso.
Le tecniche cognitive comportamentali aiutano il paziente ad affrontare qualsiasi ostacolo si frapponga tra sé ed una corretta esecuzione del piano alimentare, sia psicologico, comportamentale, gestionale, logistico. Utilizza strumenti semplicissimi, così semplici che nella mia esperienza direi che il rischio principale è che vengano banalizzati e sviluppano al contrario nel paziente finalmente una idea di autoefficacia, cioè la consapevolezza che il suo problema può essere affrontato e risolto permettendogli infine di eseguire un piano alimentare dall’inizio alla fine senza intoppi.